Il rudere romano della “scuola di Virgilio” nei pressi della Gaiola e della Villa Pausylipon, è dunque il simbolo della presenza di Virgilio nell’antico complesso residenziale.
Publio Virgilio Marone, certamente il più dolce poeta latino, ebbe dottrina epicuriana. Il filosofo Epicuro era morto da circa due secoli e mezzo, ma la sua filosofia era nella città partenopea – in particolare a Posillipo, grazie alla scuola di Sirone – più viva che mai. Egli è intimamente legato a Napoli per una sua figura dotata di poteri soprannaturali, un Virgilio mago e taumaturgo. La sua vasta dottrina e l’esemplarità della sua vita ben presto mitizzata, lo fecero divenire oggetto di venerazione e i suoi libri si trasformarono in fonti divinatorie, le cosiddette sortes virgilianae.
Il Virgilio oracolare assunse una veste profetica: in particolare, nell’annuncio della nascita di un divino puer con caratteri celesti e solari (nella IV egloga delle Bucoliche) si volle legger la venuta del Messia Gesù.
Pausilya Therme nasce, là dove sono state pregnanti le forze di Virgilio filosofo, come “pausa dal dolore degli affanni”.
Epicuro fu Il filosofo greco che riprende la teoria degli atomi di Democrito e ritiene che solo i sensi sono veri ed infallibili, grazie alle impronte che gli atomi delle cose sensibili lasciano sugli atomi dell’anima (sostanza corporea). Quindi, Epicuro ritiene che il male derivi dai desideri che, se non appagati, generano insoddisfazione e quindi dolore.
Soltanto la totale assenza di dolore (aponia) e di turbamento (atarassia) sono eticamente accettabili e dunque costituiscono la vera felicità. Queste si raggiungono solo se si seguono quelli che gli epicurei definiscono come “bisogni naturali” (come il nutrirsi): è demandato alla ragione dell’uomo stabilire quali per lui siano i bisogni essenziali e naturali da soddisfare.
Il piacere durevole consta della capacità di sapersi accontentare della propria vita, di godersi ogni momento come se fosse l’ultimo, senza preoccupazioni per l’avvenire. La condotta, quindi, deve essere improntata verso una grande moderazione: meno si possiede, meno si teme di perdere. L’uomo dovrà quindi essere contento del vivere nascondendosi serenamente.
Pausilya Therme è dolce strumento per esaudire i bisogni essenziali e qui il benessere fisico si diffonde attraverso i principi vitali dell’acqua termale e di quella marina che penetrano il corpo, ma quello spirituale raggiunge l’anima attraverso la musica delle onde e lo sguardo sul mare, lì quasi a toccarlo.
VIRGILIO
Publio Virgilio Marone (Andes 70 a.C. – Brindisi 19 a. C.) nacque da agiata famiglia lombarda di possidenti terrieri, dedicò la sua vita quasi esclusivamente alla produzione letteraria. Intorno al 40 perdette i suoi possedimenti nel Mantovano in seguito alla confisca operata da Augusto in favore dei suoi veterani. È probabile che sia giunto in Campania tra il 49 ed il 47 a.C. dove, secondo la tradizione biografica, visse per molti anni. Scelse Posillipo come suo luogo ideale di studi, probabilmente per la sua dottrina epicuriana. “Vivi nascostamente!” era uno dei principi base degli epicurei. Forse per questo motivo preferì Posillipo alla Roma dei Cesari. Frequentò il circolo epicureo ed ereditò dal maestro Sirone una villa sulla collina di Posillipo.
Per secoli fu diffusa a Napoli la credenza che la città sopravvivesse protetta da un’aura magica, dovuta ai prodigi di Virgilio considerato come un nume tutelare. I suoi libri si trasformarono in fonti divinatorie, le cosiddette sortes virgilianae.
Secondo questa lunga tradizione, tutta partenopea e “popolare”, il territorio che si estende dai Campi Flegrei al fitto tessuto urbano della città prolifera di segni di questi antichi atti magici. A lui si deve la costruzione dei bagni termali di Baia e Pozzuoli e la prodigiosa perforazione della Crypta Neapolitana, compiuta con l’aiuto di una schiera di demoni, allo scopo di facilitare il viaggio a chi doveva recarsi da Napoli a Pozzuoli. A Virgilio è attribuita pure la collocazione nelle segrete dell’allora Castello di Mare di una caraffa con dentro un uovo magico racchiusa in una gabbia metallica, da cui dipesero il destino della città e il nuovo nome di Castel dell’Ovo dato alla dimora.
Il racconto del VI canto dell’Eneide avvicinò Virgilio alla Sibilla da lui cantata, dando origine alla tradizione che estese al poeta i poteri mantici di quella. E fu questo il Virgilio sacralizzato dai napoletani, per i quali egli divenne un’espressione simbolica della propria identità, e della forza e libertà della Napoli altomedievale. In quest’ottica va collocato il racconto della violazione della tomba di Virgilio e il trafugamento delle sue ossa, avvenuti durante il regno di Ruggero di Sicilia. Come si legge in varie fonti, il re, che aveva conquistato Napoli dopo un lunghissimo assedio, avrebbe dato permesso ad un medico inglese di prelevare le ossa del poeta per farne degli studi, ma quando il medico si recò presso le autorità cittadine con l’ordine a procedere, esse temettero gli infausti effetti della profanazione e consegnarono allo straniero soltanto i libri magici posti in un “vasello di rame” sotto il capo del poeta, trasferendone le ossa a Castel dell’Ovo. Per un certo tempo, fu possibile vedere queste preziose reliquie attraverso una grata, ma poi, quando Napoli subì una definitiva “conversione” alla Chiesa romana per opera dei Normanni, vennero murate ed eclissate per sempre. Il senso storico della vicenda è abbastanza evidente: da un lato, il tentativo perpetrato dai normanni, con il consenso interessato della Chiesa, di indebolire e sottomettere la città al proprio volere e all’ortodossia cattolica, distruggendo l’oggetto di culto che era la base simbolica della sua autonomia; dall’altro, l’imperterrita resistenza dei napoletani che vollero proteggere le reliquie virgiliane nel tentativo di salvaguardare l’integrità propria e del mito. Il sepolcro si svuotò, ma il culto non si disgregò mai completamente; finì piuttosto per fondersi in una sintesi sincretica con le altre espressioni mitico-rituali che, prima pagane e dopo cristiane, connotarono i luoghi legati alle leggende napoletane di Virgilio. Si pensi alla Grotta di Posillipo che, con la festa di Piedigrotta, continuò ad essere luogo e oggetto di culto popolare fino agli anni Sessanta del XX secolo. La fama del culto a Virgilio e le credenze magiche sorte intorno al suo sepolcro varcarono i confini d’Italia, come si desume dai numerosi riferimenti in opere letterarie (tra cui il Doctor Faustus) e dalle richieste che giungevano persino dall’America di rami-souvenirs del lauro cresciuto intorno alla tomba; e come attesta la diffusione in area slava della credenza in un misterioso “Cerchio di Virgilio”, scuola per negromanti.
Un punto di partenza, però, per forza di cose c’è l’abbiamo; è la famosa Crypta Neapolitana, per alcuni grotta di Pozzuoli, per altri grotta di Posillipo, certamente non una semplice caverna, ma una porta, un punto di congiunzione per gli spostamenti del poeta Virgilio tra la città di Napoli e i Campi Flegrei.
La Crypta Neapolitana, una delle più antiche gallerie del mondo, la cui progettazione è attribuita nella leggenda all’opera magica di Virgilio, orientata da est a ovest in modo tale che in due giorni dell’anno, alla fine di ottobre ed alla fine di febbraio, la luce del sole, all’alba ed al tramonto attraversasse da parte a parte gli angusti cunicoli per catturare i raggi del dio sole.
L’importanza della Crypta Neapolitana per il mito Virgiliano va al di là della tomba adiacente ad essa. La Crypta era considerata dal poeta stesso un luogo sacro, l’ingresso ad un mondo nuovo fatto di vigneti, di aranceti, di piante esotiche, di una vegetazione straordinariamente rigogliosa dove si inserivano quasi magicamente i resti di antiche civiltà. Un susseguirsi infinito di insenature, rade, di calette, di rocce a picco e di promontori dolcemente declinanti. Era questa irrequietezza del suolo che probabilmente lo colpiva.
V’è chi crede sia stata scavata in una notte da Virgilio per via d’incantesimi ed altri autori scrivono che fu eseguita in quindici giorni dall’illustre architetto Cocceio, il quale vi impegnò centomila uomini.
Non dovrebbero esserci dubbi sul fatto (al contrario della credenza popolare) che a costruirla sia stato Lucio Cocceio Aucto, architetto che operò nel territorio napoletano e flegreo fra il 40 e il 30 a.C., al quale si attribuisce la realizzazione di un’altra imponente opera, il dritto traforo sottostante capo Posillipo, denominato grotta di Seiano. La grotta napoletana è tortuosa, oscura e difficile per rapide salite e discese, e strettoie anguste. In epoca romana avevano scelto, per il tracciato stradale, le zone tufacee più sicure.
La Crypta Neapolitana assolse al compito di luogo sacro dove, ancora nel secolo scorso, le giovani spose andavano in pellegrinaggio a chiedere figli sani e numerosi; luogo dove i baccanali erano famosi per la grande partecipazione e forza liberatoria.
EPICURO
Epicuro (Samo, 341 a.C. – Atene, 271 a.C.) è stato un filosofo greco fondatore di una delle maggiori scuole filosofiche dell’età ellenistica e romana. Ebbe grande successo in epoca ellenistica ma, avversata dai Padri della Chiesa, subì un rapido declino con l’affermarsi del Cristianesimo.
Epicuro di Samo che fondò la scuola in Atene nel 306 avanti Cristo. I tratti caratteristici dell’Epicureismo, che condivide con gli altri indirizzi dell’età alessandrina la preoccupazione di subordinare tutta la ricerca filosofica all’esigenza di garantire all’uomo la tranquillità dello spirito sono i seguenti: 1° il sensismo, cioè il principio per il quale la sensazione è il criterio della verità e il criterio del bene (il quale ultimo s’identifica perciò col piacere); 2° l’atomismo per il quale Epicuro spiegava la formazione e il mutamento delle cose mediante l’unirsi e il disunirsi degli atomi e la nascita delle sensazioni come l’azione di strati di atomi, provenienti dalle cose, sugli atomi dell’anima; 3° il semi-ateismo per il quale Epicuro riteneva che gli dei esistono bensì ma non hanno alcuna parte nella formazione e nel governo del mondo. Essi si trovano nell’Iperuranio, ma esistono certamente, perché l’uomo ne ha sensazione, e sono antropomorfi, perché la forma dell’uomo, secondo gli epicurei, è la più perfetta e razionale.
La sua filosofia si basa sull’atomismo pur discostandosi da Democrito e sull’eudemonismo intendendo perciò la ricerca del piacere in modo diverso da come la concepiva Aristippo, allievo di Socrate. Egli riprende la teoria degli atomi traendone conclusioni di tipo etico capaci di liberare l’uomo da alcune delle sue paure primordiali, come quella della morte.
Queste considerazioni di tipo fisico, cosmologico e teologico spingono Epicuro a considerare la felicità come coincidente con l’assenza di paure e timori che condizionano l’esistenza in modo negativo. Ritiene inoltre che il male derivi dai desideri che, se non appagati, generano insoddisfazione e quindi dolore. Questi possono essere artificiali o naturali (necessari e non necessari).
Gli Epicurei, in primis Lucrezio, il più importante dei seguaci di Epicuro, vedono nella filosofia la via d’accesso per la felicità, dove per felicità s’intenda la liberazione dalle passioni, dal desiderio irrequieto e molesto. La filosofia, quindi assurge a strumento per qualcosa di pratico, ha uno scopo pratico nella vita degli uomini. La filosofia è strumento dove il fine è la felicità. In questa convinzione, la ricerca scientifica atta all’investigazione delle cause del mondo naturale ha lo stesso fine della filosofia:
Nell’etica Epicuro riprende concettualmente l’edonismo dei Cirenaici, ma mentre per questi il piacere è dinamico (ricerca del piacere) per Epicuro è statico (eliminazione del dolore), assicurando così la salute dell’anima. Un’anima che “è una sostanza corporea composta di sottili particelle” cioè di atomi molto mobili. Grazie a questa concezione egli libera l’uomo dalla paura della morte poiché quando questa si verifica il corpo, e con esso l’anima, ha già cessato di esistere e quindi cessa anche di provare sensazioni. Per questo motivo sarebbe stolto temere la morte come causa di sofferenza in quanto la morte è privazione di sensazioni.
Per gli epicurei la felicità è piacere e il piacere può essere in movimento (gioia) o stabile (assenza di dolore).
La limitazione qualitativa e quantitativa dei piaceri è il problema stesso della virtù etica, in quanto segno evidente della condizione umana. Proprio per questo i bisogni naturali (non vani) devono essere soddisfatti.
Epicuro paragona la vita ad un banchetto, dal quale si può essere scacciati all’improvviso. Il convitato saggio non si abbuffa, non attende le portate più raffinate, ma sa accontentarsi di quello che ha avuto ed è pronto ad andarsene appena sarà il momento, senza alcun rimorso. Il piacere catastematico è profondamente legato ai concetti di atarassia e aponia.
È la concezione epicurea del “vivere nascostamente” o “vivi di nascosto”, in greco λάθε βιώσας)
Importante è quindi l’amicizia, intesa come reciproca solidarietà tra coloro che cercano insieme la serena felicità. Per quanto riguarda la società egli riconosce l’utilità delle leggi, che vanno rispettate poiché calpestandole non si può avere la certezza dell’impunità quindi rimarrebbe il timore di un castigo che turberebbe la serenità per sempre.
In realtà Epicuro non indica quali debbano essere i bisogni naturali e necessari da soddisfare. Per Cesare può essere ininfluente il bisogno di mangiare e bere mentre per lui è veramente naturale e necessario soddisfare il suo ineliminabile desiderio di gloria
Il disimpegno degli epicurei, che teorizzano una vita serena e ritirata, congiunto ad una distorta interpretazione del termine “piacere”, ha portato nei secoli ad una visione distorta dell’epicureismo, spesso associato all’edonismo con cui nulla ha a che fare. La filosofia epicurea si distingue al contrario per una notevole carica illuministica e morale, insegna a rifiutare ogni superstizione o pregiudizio in una serena accettazione dei propri limiti e delle proprie potenzialità.